domenica 30 dicembre 2012

La donna in India

L' aspetto fondamentale del decadimento della condizione femminile in India resta comunque la perdita del valore religioso della donna. Alle donne venne negato il diritto di leggere i Veda e di partecipare ai riti, l'intero assetto religioso e politico (castale) della società venne stabilito sul principio della superiorità dell' uomo sulla donna: le donne vennero considerate al pari degli shudra (la quarta casta). La morale e la legge indù stabiliscono perentoriamente che "Una donna è sotto la potestà del padre durante la sua infanzia, sotto la potestà del marito durante la giovinezza, sotto la potestà dei figli quando il suo signore è morto; non deve mai essere indipendente."Questo principio, sancito dal Codice di Manu, viene seguito ancora oggi nell'intero paese ed è alla base di forme di oppressione e discriminazione vecchie e nuove operate nei confronti delle donne, che possono degenerare in fenomeni quali 1' infanticidio femminile, e la pratica della sati, che comunque segnano la loro vita dalla culla alla tomba, come dicono gli slogan femministi. Ma non è stato sempre così.

Gli studi sulle antiche scritture mostrano, infatti, come nel periodo vedico uomini e donne avessero uguali diritti e status nella società. Le donne godevano di grande libertà sessuale e di movimento; la monogamia era la norma, ma anche la poligamia e, in misura minore, la poliandria erano permesse e praticate, soprattutto dai ricchi e dalle classi dominanti. L'adulterio femminile era inoltre tollerato e la pratica della sati sconosciuta: alla vedova era invece permesso di risposarsi. Le donne nella società vedica avevano accesso allo studio dei Veda e comunque potevano venire istruite al pari degli uomini, tanto che molte raggiunsero un alto livello di conoscenza e di cultura: c'erano persino filosofe e poetesse. Dal che derivò loro anche il diritto a partecipare ai riti religiosi, anzi, nessuna cerimonia era considerata completa in assenza della moglie. Intorno alla fine di questo periodo, però, gradualmente la condizione della donna decadde insieme ai principi vedici di uguaglianza e con il passare dei secoli peggiorò ulteriormente: la libertà delle donne venne limitata ed il loro ruolo nella società ristretto all'interno delle mura domestiche, con conseguente loro allontanamento dall' attività economica. Inoltre venne data loro scarso istruzione, il che contribuì certamente ad accentuarne la subordinazione. La superiorità maschile si esprimeva principalmente nel diritto-dovere riconosciuto ai soli figli maschi di celebrare la cerimonia shraddhà, cioè di accendere il rogo funebre dei genitori, senza la quale la loro anima è costretta ad errare per l' eternità da un corpo all'altro, senza mai raggiungere la definitiva liberazione dalla trasmigrazione. La donna come figlia perde progressivamente valore, di conseguenza ella non viene istruita e non le viene permesso di partecipare all' attività economica, in definitiva viene segregata in casa in attesa del matrimonio. L' unico status religioso della donna viene ad essere quello di moglie, indispensabile all' uomo per avere figli e garantirsi la salvezza eterna, una moglie fedele è devota al marito come a un dio: "Anche qualora sia privo di virtù, o cerchi il suo piacere altrove, o non possegga degne qualità, il marito sarà sempre adorato come un dio dalla sposa fedele." È in questo contesto che occorre considerare realtà tuttora esistenti quali l' infanticidio femminile; il matrimonio e le relazioni che si creano prima e dopo di esso, con il costume della dote e la condizione della vedova,con le rispettive conseguenze.

La vedova



Nel periodo vedico, come abbiamo visto, le vedove godevano di uno status soddisfacente nella società: erano libere di risposarsi o meno, nonostante la seconda possibilità fosse considerata preferibile. In questo caso, inoltre, era permesso loro di avere figli tramite levirato (niyoga), cioè dal fratello del marito. Ma con il decadimento della condizione della donna in epoca successiva, l'unico status che la religione le concede è quello di moglie. L' ideale del pativratya, cioè l'assoluta devozione al marito, non solo implica la completa fedeltà della sposa, ma fa del servizio al suo "signore" l' unico dovere ed il principale scopo della sua vita. Di conseguenza, se la donna ha identità solo in quanto moglie, con la morte del marito questa identità viene a mancare. La vedova, quindi, non ha alcuna ragione di vivere: viene allontanata da tutti, perché considerata di cattivo augurio, e abbandonata spesso dai suoi stessi figli e familiari, o comunque costretta ad un'esistenza nell'ombra, fatta solo di rinunce. La vedova poteva (può), altrimenti, evitare umiliazioni e sofferenze sublimando la sua devozione al marito, seguendolo cioè sulla pira funeraria e facendo di se stessa sati, che significa, appunto, "moglie perfetta". L'ideale del pativratya, quindi, dà origine e glorifica il sacrificio della vedova. Pare che il sacrificio della vedova fosse diffuso tra le popolazioni arie, ma che fosse poi stato abbandonato prima del loro arrivo in India. E' possibile che proprio da questa antica pratica derivi il costume vedico secondo il quale, durante il rito funebre, la donna veniva fatta giacere simbolicamente accanto alla salma del marito sulla pira, prima dell' accensione del fuoco. La descrizione di questo rituale nel Rgveda avrebbe indotto alcuni studiosi a credere che il sacrificio della vedova avesse origini vediche. Anche in epoca successiva, durante cioè la codificazione delle leggi sociali e quindi nei secoli a cavallo dell' inizio dell' era cristiana, non si trovano tracce di questa pratica, ma solo informazioni dettagliate sui doveri delle donne. Primi riferimenti ad essa appaiono solo a partire da circa il 300 d. C., ma il costume si diffuse lentamente soltanto dal 400 d. C., inizialmente tra gli Kshatriya (la casta dei guerrieri), poi gradualmente fra tutta la società, e, comunque in misura molto minore, all' interno delle caste basse. In seguito alle invasioni musulmane, le regole religiose hindu, quindi la struttura sociale che ne trae origine, si irrigidirono per proteggere il vecchio assetto nei confronti della nuova cultura dei conquistatori. In campo sociale questo intervento si tradusse principalmente in forti restrizioni per le donne, che vennero segregate in casa e date in sposa in tenera età. Tali restrizioni favorirono, di conseguenza, la diffusione del sacrificio della vedova. Nell' India indipendente se ne sono verificati ancora sporadici casi, pare una quarantina in tutto, particolarmente nelle regioni settentrionali. Nell'ultimo decennio, invece, il fenomeno ha conosciuto un nuovo, significativo incremento: un certo numero di tentativi sono falliti grazie all'intervento della polizia, ma quattro o cinque di essi sono stati portati a termine con successo. Ma ciò che preoccupa principalmente i gruppi femministi, oggi, non è tanto la frequenza con cui si verificano tali episodi, quanto le implicazioni del recente fenomeno della glorificazione della sati. Ricchi uomini d'affari, stanno divinizzando in questi ultimi anni sati vecchie di secoli, costruendo templi in tutto il Rajasthan e nei pressi di Delhi. Questi centri attirano migliaia di devoti e permettono la raccolta di cospicue donazioni. Inoltre le fiere che si tengono in occasione della celebrazione di ogni anniversario portano ricchezza agli interi villaggi che sono stati sede di sacrifici antichi o recenti. La sanzione religiosa, la complicità politica e gli interessi economici hanno dato vita, quindi, ad un nuovo sviluppo del culto della sati. La questione della volontarietà del gesto era già stata alla base della violenta reazione all'intervento inglese del 1829 e continua a dividere ancora oggi l'opinione pubblica. Per i difensori della tradizione quei sacrifici sono atti spontanei, mentre gli oppositori parlano di coercizione; in realtà, generalmente, le donne vengono drogate e, in stato di semi-incoscienza, fatte salire sulla pira, dove il loro corpo viene ripetutamente spinto nel fuoco fino al bruciamento completo. Una certa forma di volontarietà, certamente non quella che intendono i sostenitori del rito, è eventualmente riconducibile al desiderio della vedova di morire piuttosto che sopportare una vita il più delle volte fatta di sofferenze e umiliazioni, inevitabile conseguenza della sua condizione di emarginata nella società. Questa condizione si esprime, ancora oggi, nell' obbligo per la vedova di radersi il capo, in rispetto alla credenza secondo la quale per un solo capello caduto in terra l'anima del marito andrà all'inferno. La vedova, inoltre, non può indossare sari colorati e gioielli, le vengono spezzati i bangle (i caratteristici braccialetti di vetro colorato, simbolo di stato coniugale, che producono il tipico suono che accompagna sempre le donne indiane) e le viene rimosso il rosso vermiglione dalla scriminatura dei capelli (altro segno distintivo delle donne sposate). Per di più ella può mangiare solo cibi molto semplici, senza burro, spezie e dolci e non le viene permesso di partecipare ad alcuna cerimonia festosa, poiché la sua presenza è considerata di malaugurio. Ma, a prescindere dal pregiudizio, l'ideale del pativratya si esprime, ancora oggi, nel divieto fatto alla vedova di risposarsi.



L'infanticidio femminile



Un'antica poesia indiana recita: "Non far nascere nessuno, ma se proprio devi, fai che non sia una bambina". In india la donna,come in altri paesi asiatici, per esempio la Cina e la Corea del Sud, viene discriminata ancora prima di nascere. Questo accade perché nella maggior parte del paese la presenza di una figlia costituisce un peso economico per la famiglia, che dovrà mantenerla fino all'età del matrimonio, quando ella abbandonerà la casa paterna con una sostanziosa dote, dopo una lunga e costosa cerimonia. La nascita di una bambina, quindi, viene accolta in silenzio, addirittura con dolore, mentre quella di un bambino viene salutata con gioia e festeggiamenti. La levatrice riceverà soltanto 2 rupie se farà venire al mondo una femmina, 50 o 100 se nascerà un maschio. Ancora oggi, quindi, il valore di una donna si misura dal numero di figli maschi che partorisce. Va poi da sé che tale preferenza per i maschi diventi, in India, forte motivo di discriminazione per le bambine, che vengono nutrite meno dei loro fratelli, meno curate quando si ammalano, meno vaccinate, molto meno istruite. Le conseguenze sono gravissime: esse muoiono con molta più frequenza dei maschietti nella prima infanzia, mentre anche nell' adolescenza fanno spesso registrare un tasso di morte superiore, a causa della pratica molto diffusa di darle in sposa in giovanissima età, che le sottopone a gravidanze precoci e quindi pericolose. In alcuni villaggi, ancora oggi, le neonate vengono addirittura uccise con metodi antichi, quasi rituali, mentre in tutto il paese si va diffondendo sempre più la pratica di utilizzare le tecnologie mediche per determinare in anticipo il sesso del feto e abortire se è femminile. Esistono vari metodi per uccidere le bambine: uno di questi consiste nel soffocare la neonata riempiendole la bocca di grossi chicchi di riso, in altri casi, invece, viene usato latte avvelenato con bacche di oleandro. In alcune famiglie, addirittura, il marito semina una pianta velenosa nel momento in cui la moglie concepisce il bambino, in modo da poterne disporre nel caso si tratti di una femmina. Un altro esempio della diversa considerazione in cui vengono tenuti maschi e femmine, ancora in questa comunità, lo troviamo nelle abitudini alimentari: se muore un bambino i membri della famiglia per un anno non consumeranno una certa pietanza a base di una pappa di farina di avena o d'orzo, per compensare la grossa perdita economica che deriva da tale decesso, se invece non riescono ad uccidere la bambina, salteranno un pasto al giorno, per risparmiare il denaro necessario per il suo matrimonio. Ma oltre a queste pratiche tradizionali, che possono apparire terribili e macabre agli occhi dell'osservatore occidentale, lo sviluppo della tecnologia e della scienza medica, come abbiamo già accennato, ha portato oggi alla diffusione dell'infanticidio femminile in una forma del tutto nuova, che ha assunto ormai proporzioni allarmanti. All' inizio degli anni '80, alcuni gruppi femministi di Bombay scoprirono che si abusava dell' esame dell' amniocentesi (che prevede il prelevamento di liquido amniotico dalla placenta per individuare eventuali malformazioni genetiche) per determinare il sesso del feto. In questo modo, le donne che non desideravano avere una bambina potevano abortire anche oltre la ventesima settimana di gravidanza, nonostante questo sia considerato molto pericoloso . Da allora le tecniche di amniocentesi ed ecografia hanno conosciuto uno sviluppo prodigioso nell' intero paese. Dagli esiti di un' indagine diffusi dal Forum nel 1986 emerge che su 8.000 feti abortiti dopo amniocentesi in un ospedale di Bombay, 7.999 erano femminili; pare inoltre che l'unica eccezione fosse una donna ebrea che desiderava avere una bambina. La realtà è che il progresso della tecnologia e della scienza medica, che in tutto il mondo, da anni, salva la vita di milioni di persone, in India viene utilizzato per uccidere, in un modo che, a prescindere da giudizi morali sulla pratica dell'aborto, discrimina solo le donne. Inoltre, va osservato che dei circa 12 milioni di bambine nate ogni anno nel paese, più di 1 milione non arrivano al loro primo compleanno, 85.000 muoiono prematuramente e un terzo delle sopravvissute sarà malnutrito o sottonutrito per tutta la vita. Ne deriva un considerevole scarto tra popolazione femminile e maschile che allarma i demografi e rischia di sconvolgere l'intero equilibrio del paese. Secondo il censimento del 1901, il rapporto era di 972 donne ogni 1.000 uomini. Nel 1981 questo era sceso a 935 contro 1.000, mentre nel 1991 presenta uno squilibrio ancora più grande: solo 882 donne contro 1.000 uomini. E vogliamo concludere con un altro aspetto della questione, piuttosto scoraggiante per chi spera nella fine dell'infanticidio femminile. Si tratta delle riflessioni dei teorici della pianificazione familiare sulle implicazioni che può presentare tale trista pratica sul programma di popolazione del paese. Essi ritengono dunque che, riducendo il tasso di natalità delle bambine che crescendo costituiranno la forza 'riproduttiva", i test per la determinazione del sesso forniscono un' ideale e razionale soluzione al problema dell' incremento demografico.



La donna e il matrimonio



Uno dei problemi sollevati nel corso della Conferenza su Popolazione e Sviluppo, tenutasi al Cairo nel settembre 1994, è quello delle "spose-bambine": il documento dell'ONU raccomanda ai singoli stati di alzare l'età minima del matrimonio, e far sì che la sposa sia consenziente. In India la legge impedisce alle fanciulle di sposarsi prima di aver compiuto diciotto anni, tuttavia il matrimonio infantile è ancora oggi molto frequente, soprattutto negli ambienti rurali delle grandi regioni tradizionaliste del Nord. Le cerimonie non vengono celebrate, come si potrebbe pensare, nel più assoluto segreto, tanto che spesso vi partecipano anche importanti uomini politici, come dimostra il matrimonio, avvenuto nel 1981, della figlia tredicenne di un ministro dello Stato. L'infrazione alla legge viene generalmente perdonata dalle autorità, in nome della tradizione che ancora una volta regna suprema in India. Solo uno stato, il Gujarat, ha un ufficio apposito che si occupa della prevenzione dei matrimoni infantili. Il Mahatma Gandhi, egli stesso fatto sposare all' età di tredici anni, condannò più volte quest'usanza, ma ancora dal censimento del 1971 emerge che ben 5.400.000 bambini tra i dieci e i quattordici anni, e più di un terzo dei ragazzi tra i quindici e i diciannove anni di età erano già sposati. In un singolo anno nell' Uttar Pradesh la metà dei matrimoni celebrati ha interessato ragazze al di sotto dei quindici anni di età. Dopo la cerimonia gli sposi tornano nelle proprie case, dove rimarranno fino alla pubertà. Allora, nella migliore delle ipotesi, la ragazza riceverà un giorno la visita della madre dello sposo che verrà a prenderla per portarla in quella che sarà la sua nuova casa. Ma può anche accadere che durante gli anni d'attesa, il ragazzo di ricca famiglia venga mandato a studiare in città, dove conoscerà altre ragazze, più istruite e interessanti, e vorrà sposare una di loro, ripudiando la "sposa-bambina" di cui non ricorda nemmeno il volto. Abbandonata, la fanciulla andrà incontro ad un' esistenza infelice, maltrattata e umiliata dai suoi stessi genitori che, nelle zone più tradizionaliste dell'India ritengono sia un disonore avere in casa una figlia respinta dal marito. E alla fine sarà fortunata se un uomo anziano, un vecchio, un vedovo vorrà “comprare la sua innocenza per una manciata di rupie, e a portarsela a casa dopo una cerimonia di nozze ancora più grottesca di quella da lei penosamente vissuta pochi anni prima”.Il grande poeta Rabindranath Tagore (1961-1941) aveva definito quelle poverette: 'boccioli di rosa lacerati e buttati nella polvere '. Il matrimonio dei bambini, modello comune alle nobiltà di molti paesi nel passato, in India non si è sviluppato solo all'interno delle classi più abbienti, ma anche ai livelli più bassi della società. Dall' analisi storica emerge che l'età al matrimonio si è andata via via abbassando con il passare dei secoli, forse in parte come riflesso del decadimento della posizione della donna. Nel periodo vedico le ragazze si sposavano piuttosto tardi, e comunque dopo la pubertà. L'età si riduce, invece, a partire da circa il IV secolo a. C., come testimoniano i testi del Dharmasutra (400 a. C.-100 d. C). Pare che tra i vari estensori ci fosse disaccordo, ma la tendenza generale fosse di far sposare le fanciulle intorno all'età della pubertà; dopo il 100 d.C., invece, la regola era già diventata di sposarle prima che diventassero donne, per garantirne la verginità. Tra il 500 e il 1000 si assiste ad una nuova riduzione dell'età al matrimonio, che deve essere molto anteriore a quella della pubertà.. In questo periodo (precisamente tra il 700 e l' 800), infatti, si stabilizza in India il sistema delle caste, che suddivide la popolazione in centinaia di gruppi (jati) e proibisce i matrimoni intercastali. La selezione dello sposo diventava, così, sempre più difficile, perché il campo di scelta si riduceva all'interno della propria sottocasta quindi, per evitare il rischio di non trovare una giusta controparte, si facevano sposare i propri figli da bambini. Esiste anche un'altra interpretazione - a questa complementare - delle cause che hanno portato alla diffusione di tale pratica. Viene infatti osservato che “Il mantenimento del sistema delle caste era una faccenda troppo importante per essere lasciata ai giovani, che potevano cadere preda delle tentazioni dell'amore e perciò ignorare i requisiti di casta. Per prevenire qualsiasi opposizione seria, i giovani venivano sposati abbastanza presto, così da essere sicuri che non potessero acquisire risorse con le quali opporsi alle decisioni degli adulti". Paradossalmente la pratica della sati, che, come abbiamo visto, si diffuse particolarmente in questo periodo, favorì in un certo modo quella dei matrimoni infantili: se un uomo moriva e la moglie lo seguiva sulla pira funeraria, un'altra famiglia si sarebbe occupata dei piccoli orfani, se già sposati. Naturalmente c'era anche il pericolo che la sposa divenisse vedova da bambina, ma di questo problema la società sembrava non preoccuparsi, definendolo una conseguenza karmica e, come tale, indipendente dalla volontà dei familiari. La popolarità del matrimonio dei bambini crebbe ulteriormente in età successiva. A tale riguardo, pur mancando analisi altrettanto dettagliate delle precedenti, è opinione comune che il matrimonio infantile si sia diffuso in seguito alle invasioni musulmane, come misura protettiva adottata dagli hindu nei confronti delle proprie figlie, in quanto gli islamici, ligi ai dettami della loro religione, non violavano le donne sposate. Durante il dominio britannico vennero introdotte varie leggi miranti ad alzare l'età del matrimonio. Secondo le leggi vigenti oggi, la sposa deve avere almeno diciotto anni e lo sposo ventuno, ma, come abbiamo visto, esse vengono ampiamente disattese. Ciò nonostante, va riconosciuta una certa tendenza generale a sposarsi un po' più tardi rispetto al passato, anche se, come al solito, questo avviene principalmente nelle grandi città e tra i ragazzi di classe media, che rimandano il matrimonio per terminare gli studi.



Il matrimonio oggi



I matrimoni in India sono, nella maggior parte dei casi, combinati dai genitori che svolgono le loro contrattazioni attraverso contatti personali, agenzie matrimoniali e inserzioni sui giornali; nei villaggi la figura del mediatore è rappresentata solitamente dal barbiere. In generale, ancora oggi, i giovani non si danno da fare a cercare un compagno o una compagna, compito che sono ben felici di demandare ai propri genitori: l'amore è considerato una base inaffidabile per il matrimonio ed è comunque un'emozione che ci si aspetta si sviluppi nel corso degli anni. L'accettazione di questo costume si fonda sulla mancanza di quelle istituzioni sociali che in Occidente promuovono la libera scelta, cioè anni di gioco insieme tra bambini e bambine, abitudine ad uscire in gruppi misti di amici o in coppia, maggiore libertà sessuale, disponibilità di contraccettivi e così via. Al contrario in India (ma si assiste ad un lento cambiamento) "... tutto avviene come se i sessi conducessero ciascuno una vita autonoma e indipendente, incontrandosi solo di rado. La moglie non esce col marito: conduce la sua vita professionale e individuale e passa la maggior parte del tempo con le sue consorelle, parenti o amiche. Non ci sono coppie sedute vicine o abbracciate, al cinema o al concerto; non innamorati confusi nell'ombra dei portoni, la sera; entrando in aula, gli studenti vanno come per istinto a installarsi buoni buoni, le ragazze nel loro angolo, i ragazzi nell'altro, anche se nessun regolamento li obbliga a questo. All' uscita, si ritroveranno chi nella sala degli studenti, chi in quella delle studentesse." Corteggiamento, appuntamenti, serate in discoteca sono ancora relativamente poco frequenti fra i giovani indiani, se non in una piccola, anche se crescente, minoranza di ragazzi di città, di classe media. Molte coppie si incontrano, ancora oggi, per la prima volta nel giorno delle nozze: persino nel corso stesso della lunga cerimonia durante la quale siedono fianco a fianco è loro impossibile scorgersi. La sposa, coperta di fiori e ornamenti, ha infatti un lembo di sari calato sul viso, fatto che le impedisce di vedere e di esser vista. Nelle classi medie ed istruite si va diffondendo, comunque, la tendenza a conoscersi - più raramente a frequentarsi - prima del matrimonio, ma, in ogni caso, ciò non significa che venga facilitata un'eventuale opposizione alla scelta dei genitori. Opposizione che, d'altra parte, poche ragazze metterebbero in atto "solo perché non sono innamorate di quella persona. " Tornando al rituale del lungo e complesso iter di contrattazioni che portano al matrimonio, vale la pena di leggerne questa descrizione, che riteniamo essere particolarmente dettagliata e colorita: "La parte preliminare dei riti nuziali consiste nella 'promessa' (vagdana) che non è tuttavia considerata come vincolante. I parenti e gli amici del ragazzo si recano in gruppo a far visita ai genitori della giovane prescelta recando con sé alcuni doni. Qui vengono ricevuti con grande deferenza, invitati cerimoniosamente a sedere e rimpinzati di ricercati - e costosi - dolciumi, mentre ci si accorda sui lati squisitamente finanziari della transazione, quali l'ammontare della dote e l' entità della somma che si intende spendere per la celebrazione delle nozze. Per ovvie ragioni di delicatezza, il futuro marito è assente, e la probabile sposa, tutta agghindata nelle sue vesti più vistose, fa la sua riluttante apparizione solo all'ultimo, per distribuire agli ospiti il pan (foglie di betel ripiene) di rito. Sotto gli sguardi attenti degli astanti, che la soppesano come una giovenca alla fiera, fa il suo impacciato giro nella stanza e quindi scompare nuovamente in cucina. Questa sua breve comparsa farà sì che gli amici dello sposo possano descrivergliela, dal momento che egli non la vedrà in volto se non a matrimonio concluso." Se gli ospiti sono soddisfatti dell'aspetto della ragazza e gli oroscopi della coppia sono compatibili tra loro, si passa ad esaminare i termini della transazione, cioè a contrattare l'ammontare della dote e l'organizzazione della cerimonia. Quest'ultima ha una grandissima importanza oggigiorno in India, perché offre alle due famiglie l'occasione di ostentare in pubblico le proprie ricchezze. Le elevate spese appunto per la cerimonia spettano principalmente alla famiglia della sposa e sono spesso causa di debiti smisurati. Per aiutare le famiglie meno abbienti, che pure si sentono costrette a rispettare questo costume, e per cercare in qualche modo di ridimensionare la portata del costume stesso, si vanno diffondendo sempre più negli ultimi anni i matrimoni “collettivi". Gli introductory neet attirano un gran numero di ragazzi e ragazze che, in questo modo, vedono aumentare le possibilità di incontrare il partner più adatto, e semplificare il lungo e oneroso iter della selezione. Nei collective marriage tutte le spese sostenute vengono divise tra i partecipanti, e sono comunque piuttosto contenute, dal momento che la cerimonia si conclude in un solo giorno, invece che in tre come quella tradizionale. Si tratta, inoltre, di una festa semplice, comune a tutte le coppie, che non lascia spazio a forme di esibizionismo di nessun genere. Il tempio di Dharmastala, nel Karnataka, facendo seguito ad una tradizione di ottocento anni di carità e servizio sociale, celebra addirittura mass-marriage fin dal 1972 per aiutare le famiglie povere a far sposare i propri figli in modo dignitoso, senza indebitarsi per tutta la vita. Il matrimonio, infatti, non costa nulla ai partecipanti, in quanto il tempio provvede a tutto: un san e una blusa per ogni sposa, una dhoti e una camicia per ogni sposo, musica, attrezzatura per il rituale, la cena per venti invitati per coppia, persino le collane in argento e oro, che nell'India meridionale sono il corrispettivo delle nostre fedi nuziali. La stragrande maggioranza delle spose indiane è vergine al momento del matrimonio. La verginità della sposa e la castità della moglie erano, e sono tuttora, valori fondamentali dell'induismo. Una ragazza che abbia avuto una relazione prematrimoniale riduce non solo a se stessa le possibilità di trovare un buon marito, ma anche alle sorelle minori, macchiando l' onore e la reputazione dell'intera famiglia. Le ragazze sono quindi, in genere, caste e riservate, aiutate anche dal fatto che le occasioni di allacciare relazioni prima del matrimonio, come abbiamo visto, sono piuttosto limitate. Esse tendono perciò ad essere obbedienti nei confronti dei genitori e ad avere un forte senso della famiglia. Il sesso è argomento assolutamente tabù per le giovani indiane, che in genere non ne parlano con le proprie madri ed hanno a disposizione una scarsissima letteratura in merito. Di conseguenza, il primo rapporto costituisce un'esperienza drammatica per le ragazze, ma anche, in molti casi, per i ragazzi. Nella società rurale, spesso, nelle prime notti di matrimonio, la sposa viene “rinchiusa" in camera con il marito. Subendo uno "stupro legale". I ragazzi, a loro volta, hanno più occasioni di acquisire conoscenze di tipo sessuale dai discorsi tra compagni di scuola, occasionalmente dalle donne di famiglia particolarmente compiacenti o, nelle città, dalle prostitute. Rimane comunque, in genere, una grande ignoranza su questi temi, per cui i problemi sessuali anche all' interno della vita coniugale sono molto frequenti. Questo è dovuto principalmente al fatto che per la maggior parte delle coppie il concetto di privacy è estraneo quanto quello di amore: i coniugi hanno diritto molto raramente ad una camera propria all' interno della famiglia estesa, in genere la sposa dorme con le altre donne e lo sposo con gli uomini. Ne deriva una scarsa intimità e, quindi, una scarsa conoscenza tra essi, che rende il rapporto sessuale un puro atto meccanico, privo di piacere. Da qui nascono i problemi sessuali che molte coppie denunciano. A questo proposito sono sorte a dismisura, in questi ultimi anni, cliniche che offrono consigli e trattamenti, come dimostrano le insistenti pubblicità quotidiane sulle pagine dei giornali o, addirittura, sui muri per le strade. Queste cliniche senza dubbio forniscono un servizio utile alla società, riducendo fino ad un certo punto l'ignoranza e rendendo così più serena la vita sessuale delle giovani coppie; ma gli stessi medici, spesso, si lasciano condizionare nello svolgimento del proprio lavoro da superstizioni e vecchie credenze. In particolare questo avviene quando raccomandano ai giovani di non disperdere il proprio seme, “la gemma della vita", attraverso la masturbazione. Si tratta in realtà di un'antica convinzione che la letteratura medica ancora segue e anzi sostiene con la cosiddetta scienza, mettendo in guardia i giovani.



Le relazioni familiari



Si è osservato che in India il matrimonio è in primo luogo, per la ragazza, un distacco violento dalla propria famiglia e dalla fitta rete di relazioni interpersonali all'interno di essa; poi un inserimento brusco in un nuovo insieme in cui la giovane si sentirà inevitabilmente un' estranea. Ecco perché esso viene associato, in genere, alla sofferenza e non alla felicità. D'altra parte non va dimenticato che si tratta di un rito di passaggio e, come tale, è necessario, anzi obbligatorio. Secondo la teoria brahmanica, la cerimonia nuziale è considerata la vera iniziazione per le donne: si dice che al momento del matrimonio una ragazza muoia e rinasca in una nuova persona. Come abbiamo già visto, in generale il marito è un estraneo per la giovane sposa, che viene presa in custodia dal gruppo femminile della famiglia, un microcosmo di cui entra a far parte e di cui dovrà rispettare regole e gerarchia. Più ancora che dalla relazione, anche sessuale, che avrà con il marito, la ragazza è intimorita dal rapporto che avrà con le cognate e soprattutto con la suocera. Il "conflitto" suocera-nuora è l'argomento che più ricorre nelle lettere ai giornali femminili, costituendo addirittura oggetto di rubriche fisse, ed è un tema molto frequente anche nel cinema. Nella famiglia estesa indiana esiste, dunque, una vera e propria gerarchia di donne, al cui vertice si trova la suocera e via via tutte le mogli dei figli, secondo l'ordine di età dei mariti. L'ultima arrivata è generalmente la più maltrattata da tutte le altre, che sembrano rifarsi, in questo modo, di quanto subito da loro stesse in passato. In realtà si può dire che siano tutte vittime di un medesimo sistema, in cui non è che venga a maturarsi una "cattiveria" congenita nelle donne, quanto piuttosto si instaura un perverso meccanismo psicologico. Non ci sentiamo dunque di condividere l'opinione tradizionale che condanna quelle poverette come furie distruttrici dell'armonia della famiglia. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta infatti di povere donne fiaccate da un'esistenza faticosa e priva di svaghi. In genere ogni bambina vive, dunque, nei rapporti esistenti all'interno della propria famiglia, il peso di questi modelli di comportamento, in grado di trasformare una donna amorevole e premurosa come madre, in una temibile nemica come suocera. In questa realtà, le fanciulle vengono quindi educate all' obbedienza ed alla subordinazione in vista di ciò che le aspetta nella vita matrimoniale. Accade sempre più spesso, oggi, che la sposa sia una ragazza istruita, e che quindi abbia in qualche misura allargato i propri orizzonti, venendo ad assumere un atteggiamento critico rispetto alle posizioni tradizionali. In questo caso la ragazza entra nella nuova famiglia con un carattere già formato e proprie idee ben precise, così che può incontrare difficoltà ad accettare il ruolo subalterno assegnatole. In queste circostanze è facile che accada che la giovane moglie, considerata un pericolo per la stabilità familiare, venga isolata ed ancor più maltrattata da suocera e cognate, magari un po' gelose della sua "diversità". Questo è uno dei principali effetti dell'incontro-scontro fra tradizione e modernità; nel passato, invece, la giovane età della sposa la portava a cambiare famiglia mentre stava ancora crescendo, permettendo alla suocera di plasmarne il carattere a modo suo. La sposa fiorisce e la sua vita si trasforma se e quando partorisce un figlio maschio, cioè compie il suo dovere primario di donna. La sua posizione, a questo punto, cambia completamente: ella gode di stima e di un certo grado di indipendenza nella famiglia. Il figlio, causa della sua avanzamento di posizione e prestigio, è più prezioso della sua stessa vita. Il suo istinto protettivo per il neonato indifeso diventa, quando questi cresce, un tentativo di dominazione. Naturalmente il ragazzo ricambia tutto l'amore e la dedizione che riceve dalla madre, così che tra di loro viene a crearsi una relazione sentimentale profonda e unica nei rapporti interpersonali in India. La sposa del figlio, non a caso, si introduce in questo legame e lo minaccia. Certo, con la pratica diffusa del matrimonio combinato viene a mancare, inizialmente, un forte coinvolgimento sentimentale all' interno della coppia, ma lentamente tra i due sposi il più delle volte succede che nasca un certo feeling. A questo punto il marito-figlio può trovarsi combattuto tra nuovi e vecchi legami: di solito in un primo tempo tende a prediligere il rapporto con la madre, ma ben presto, in genere con la nascita del primo figlio, si sente più vicino alla moglie. Le tensioni si creano, in particolare, perché molte donne anziane pretendono di pianificare la vita della giovane coppia e di prendere le decisioni più importanti, per esempio sulla crescita del bambino. In questi casi tocca all' uomo fungere da mediatore: è sufficiente, in genere, che egli dedichi qualche attenzione in più alla madre per ristabilire l'ordine. In ogni caso, anche a costo di schierarsi contro la moglie, il figlio non si ribella mai alla madre, perché una presa di posizione di questo tipo sarebbe assai più deleteria della prima per l' armonia della famiglia. Un legame intenso tra i coniugi potrebbe frantumare l' unità congiunta in famiglie nucleari, e quindi non viene incoraggiato: i matrimoni vengono combinati, infatti, prima che si sviluppi un rapporto di amore e molte sistemazioni della vita familiare hanno la funzione di impedire un' intensa relazione emotiva tra marito e moglie. Come abbiamo visto, la sposa, in genere, dorme con le altre donne e ha con il marito contatti più o meno frequenti. La segregazione dei sessi all' interno dell' aggregato domestico elimina questa e ulteriori potenziali minacce per la famiglia estesa. Oggi, soprattutto nelle grandi città, il modello di famiglia estesa comincia a cedere, nel senso che si riscontra una tendenza - ancora molto limitata, ma in crescita - alla scelta di un matrimonio d' amore, perciò - nel possibile - anche della costituzione di una famiglia di tipo nucleare, pur con le modificazioni che la diversa mentalità e la diversa divisione di ruoli tra India e Occidente ovviamente comporta.



La dote



"Se siete assillate da problemi di dote, telefonate a questo numero ". L'anno scorso questo messaggio è tatostampato milioni di cartoni di latte. La tradizione, infatti, vuole che si dotino le proprie figlie per compensare il fatto che, alla morte del padre, non hanno diritto ad alcuna eredità. Ma oggi i suoceri sono diventati più esigenti che in passato e, non contenti di estorcere il massimo in occasione del matrimonio, reclamano continue aggiunte alla dote: la nascita del primo nipote e le varie ricorrenze diventano un pretesto per esigere nuovi regali. Nelle famiglie più povere i genitori, spesso indebitati già dall'organizzazione del matrimonio, arrivano ben presto a non poter fare più fronte alle pressanti richieste. E cosa succede quando un padre smette di pagare il suo "debito" per la figlia? Semplice, i suoceri la uccidono. Solo così, infatti, il figlio potrà risposarsi con una donna più ricca. Certo, sembra incredibile, eppure ogni giorno 17 ragazze vengono uccise perché i loro genitori non riescono più ad accontentare le richieste dei consuoceri. Si dice anzi che il numero di ragazze assassinate sia anche più elevato, ma è quasi impossibile stabilirlo con precisione dato che la maggior parte dei delitti viene denunciata come "morte dovuta a incidenti domestici" (una tecnica ben collaudata consiste nel cospargere di benzina la giovane donna mentre è ai fornelli). L'associazione Karnika è una fra le molte che combattono la tradizione della dote. Innanzitutto ha chiesto che venissero cambiati i termini della legge del 1961 che, pur vietandola, la definisce ancora "ciò che viene dato e richiesto in occasione del matrimonio", senza tenere conto dei "regali" successivamente pretesi. C'è riuscita solo in parte. Spiega Subhandra Butalia, presidentessa di Karnika: "Ci è stato concesso che la legge precisi che è vietato tutto ciò che attiene il matrimonio, prima e dopo, ma il legislatore si è affrettato ad aggiungere: 'Permane l'accettazione dei regali tradizionali, oro, argento, ecc...'. Subhandra si rende conto quindi che solo le donne stesse potranno far sparire questa usanza. Come? Cominciando col comunicare con il fidanzato che non hanno dote. Ma questo comporta acquisire una nuova coscienza del proprio valore". E' questo l'obiettivo, del resto fondamentale, da perseguire: e a questo scopo l'associazione organizza incontri nei villaggi, dove un avvocato chiarisce esattamente quali sono i loro diritti. Compito arduo, in quanto questo problema (come tanti altri in India) affonda le radici in una particolare mentalità vecchia di secoli. "Insomma è difficile far accettare alle ragazze l'idea di rinunciare alla dote: allo stato attuale la considerano pur sempre qualcosa che le valorizza. E inoltre quando il padre regala un televisore, anche loro ne approfittano". E le suocere? Non sono in condizione di spezzare questa catena? "No", risponde Subhandra, "è il maschio che comanda in tutte le famiglie indiane. E obbliga la moglie a eseguire la sua sentenza, per disumana che sia". Ma quando una ragazza si sente minacciata, non può rifugiarsi dai genitori? "Se vogliono ospitarla", sospira Subhandra, "perché è considerato uno scandalo che una figlia ritorni a casa". Restano allora solo le associazioni come la Karnika. "Noi possiamo aiutarle per qualche giorno, indirizzarle verso una famiglia. Ma tutto questo costa molto e noi viviamo solo di contributi volontari".



Le violenze sessuali



Una vecchia legge punisce tutto quanto comprometta l'onore di una donna". Ma viene applicata in rarissime occasioni. La Kaniika si batte anche contro le violenze sessuali e tenta d'imporre una legge. "Di regola, una donna vittima di violenza o molestie sessuali dovrebbe sporgere denuncia al commissariato. Ma si verificano così tanti atti di violenza da parte delle forze dell'ordine che le donne preferiscono non presentarsi . Non si contano più quelle che sono state stuprate venendo a sporgere denuncia...", afferma Subhandra Butalia. L'unica alternativa è allora chiedere aiuto a qualche associazione. "Quando una donna si rivolge a noi", continua Subhandra, "provvediamo a mandare delle volontarie a parlare con il suo aggressore (che è in genere una persona conosciuta, spesso un suo superiore). Talvolta costui sì spaventa e smette. In caso contrario, facciamo appello al ministero dello Sviluppo della Donne. Esiste un'apposita commissione che si occupa di questi problemi e, se s’insiste abbastanza, è possibile contare sul suo intervento, specie se l'accusato è un funzionario pubblico". Subhandra ricorda, in particolare, una donna molestata sul capo. "Siamo andati a trovarlo, ha negato in tutti i modi. Il ministero è poi subentrato a noi, ottenendo non solo il rinvio a giudizio di quest'uomo, ma anche l'iscrizione dell'accaduto sulla scheda riservata che accompagna ogni funzionario"Le donne che scelgono di ottenere giustizia in un'aula di tribunale sanno che dovranno affrontare processi lunghi, costosi e dolorosi. Perché, come del resto accade nel resto del mondo, quando si tratta di stupro spesso il processo si ritorce contro la stessa vittima che deve dimostrare di non aver provocato né di essere stata consenziente.



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