martedì 27 novembre 2012

L'obbedienza cieca e il mito del conformismo

Smentita la teoria secondo cui l'obbedienza cieca può trasformare una persona normale in carnefice a causa di una naturale tendenza umana a conformarsi a ruoli e richieste dell'autorità. Una nuova analisi critica dei famosi esperimenti che portarono alla sua formulazione indica invece che chi commette atti efferati "obbedendo agli ordini" in realtà aderisce attivamente, sia pure sotto l'influenza dell'autorità, all'idea che ciò che sta facendo sia giusto (red)


Il male sarà anche “banale”, nel senso che in particolari circostanze anche persone del tutto normali possono finire per collaborare alle peggiori atrocità, ma - contrariamente a un'idea molto diffusa - non si nutre affatto solo di obbedienza e dell'inclinazione al conformismo, che pure è radicata nella nostra specie. Chi compie atti efferati in ossequio a un'autorità, invece, non si sta semplicemente conformando alle regole in modo acritico, ma in genere aderisce in modo attivo e partecipato a ciò che le autorità indicano come giusto.

Ad affermarlo in un articolo pubblicato su “PloS Biology” (e in parte anticipato in un articolo degli stessi autori pubblicato su “Mente e Cervello” del giugno scorso) sono gli psicologi S. Alexander Haslam, dell'Università del Queensland, e Stephen D. Reicher, dell'Università di St. Andrew, che fondano le loro conclusino su nuovi esperimenti e, soprattutto, su una rivisitazione critica di quelli condotti negli anni sessanta e settanta da Stanley Milgram e Philip Zimbardo che sono stati alla base di quella teoria sull'origine del “male”.
L'idea che le persone oneste possano trasformarsi in carnefici a causa di una prepotente tendenza "naturale" a conformarsi ai ruoli e alle regole impartite dalle autorità può essere fatta risalire in primo luogo a un esperimento condotto da Milgram, nel quale i soggetti dovevano sottoporre una persona (in realtà un attore) a un presunto test di apprendimento, somministrandole una scossa elettrica di intensità via via crescente a ogni errore che commetteva. Lo sconvolgente risultato era stato che – sotto la pressione dell'autorità del "professore" che gestiva l'esperimento - il 65 per cento dei partecipanti aveva continuato ad aumentare l'intensità delle scosse, fino a raggiungere livelli mortali, anche quando l'attore simulava i più atroci dolori.
L'ipotesi era apparsa confermata dallo studio di Zimbardo, in cui due gruppi di studenti impersonavano rispettivamente i ruolo di secondini e carcerati in una prigione simulata all'interno di alcuni locali della Stanford University. L'esperimento fu sospeso dopo soli sei giorni perché tra i "secondini" si manifestò un crescendo incontrollato di brutalità, che venne interpretato come “una conseguenza 'naturale' del vestire l'uniforme di guardia e dell'esercizio della forza connaturato a quel ruolo”.

Esaminando da vicino le numerose ripetizioni e varianti di questi esperimenti - molte delle quali condotte dallo stesso Milgram - Haslam e Reicher hanno rilevato che l'interpretazione che ne viene data di solito non regge. Da un'analisi complessiva dei dati emerge infatti che i partecipanti non si adeguavano automaticamente al ruolo assegnato, e che obbedivano alle richieste dell'autorità solo nella misura in cui si identificavano con il gruppo a cui essa apparteneva.

Nell'esperimento di Milgram, per esempio, i partecipanti erano studenti di psicologia, e le figure di autorità erano i loro docenti: in altre sessioni sperimentali, condotte con una composizione diversa di partecipanti e autorità, la percentuale di chi continuava a obbedire era ben più bassa. Inoltre, altre varianti dell'esperimento indicavano che nemmeno l'identità di gruppo comporta un'accettazione automatica del ruolo di carnefice e che vi è comunque la possibilità e la capacità di resistere.

"Le persone corrette - osserva Haslam - partecipano ad atti orribili non perché diventano passivi esecutori senza cervello che non sanno ciò che fanno, ma perché arrivano a credere, in genere sotto l'influenza di coloro che hanno autorità, che quello che stanno facendo è giusto."
All'interpretazione degli esperimenti data da Milgram, osservano gli autori, verosimilmente ha contribuito, per ammissione dello stesso Milgram, il testo della filosofa Anna Arendt - La banalità del male, appunto – la quale, avendo assistito al processo ad Adolf Eichmann (in realtà, solo a una parte di esso), ne aveva tratto l'impressione di una persona del tutto anonima e normale.

Per capire la tirannia e le sue mostruose conseguenze, non si può quindi semplicemente fare appello a “una naturale inclinazione, un 'effetto Lucifero', alla quale soccombono inconsapevoli e impotenti (e per la quale, pertanto, non possono essere ritenuti responsabili). Piuttosto, dobbiamo capire due serie di processi tra loro collegati: quelli con cui le autorità promuovono l'oppressione degli altri e quelli che portano i seguaci a identificarsi con tali autorità.”

“Il punto fondamentale – concludono Haslam e Reicher - è che la tirannia non fiorisce perché gli esecutori sono impotenti e inconsapevoli delle loro azioni. Fiorisce perché si identificano attivamente con coloro che promuovono atti mostruosi come se fossero virtuosi. E' questa convinzione che permette ai partecipanti di fare il loro sporco lavoro e li fa impegnare con energia e creatività per garantirne il successo. Inoltre, questo lavoro è qualcosa di cui attivamente desiderano essere ritenuti responsabili, a patto che assicuri l'approvazione di chi detiene il potere.”

http://www.lescienze.it/news/2012/11/24/news/obbediena_banalit_male_milgram_resistenza_al_conformismo-1380086/