lunedì 11 giugno 2012

LE RELIGIONI ABRAMITICHE E LA VIOLENZA

Sgombriamo il campo da un equivoco diffuso: il dio delle tre religioni abramitiche non era un dio unico al momento della sua prima rivelazione agli antichi semiti.

Proprio la innominabilità del nome di Dio, del primo comandamento giudeo-cristiano, conferma quanto storici e archeologi hanno portato alla luce: il dio dei tre monoteismi abramitici è una teocrasia, ossia la fusione di due filoni di divinità.


Infatti, presso i semiti di Siria e del nord della Palestina, la regione di Israele, si veneravano, tra le altre, già dal secondo millennio a.C. (e forse prima) delle divinità uraniche del cielo profondo, governate dal gran padre Baal, altresì chiamato da quei popoli Aleyan, Hadad, El o Eloah (Elohim al plurale): Isra-El significa "il combattente di El".

Presso i semiti di Giudea, della terra di Canaan e di Fenicia si veneravano invece divinità meno nascoste nel cielo profondo, più vicine alla vita terrena, più avvezze alle teofanie (manifestazioni fisiche come turbini di vento, roveti ardenti, scaturigini di acque da rocce, ecc.), come Jahvé o YHWH, che si pronuncia Adonai (Signore) o in altro modo, per non violare il comandamento.

Jahvé fu il dio che finì col prevalere sugli altri, presentandosi a Mosé, come sappiamo dalle scritture, ma non fu l’unico, e la Bibbia non ha potuto cancellare l’origine politeista e enoteista dell’ebraismo (un dio che primeggia sugli dei rivali), narrandoci due storie della Genesi, due del diluvio, e altre narrazioni doppie.

Il Cristianesimo e l’Islam hanno ereditato dal Giudaismo la doppia natura del dio unico: quella paterna dell’uranico El/Eloah e quella assai umana dell’iracondo JaHWeH (il cristianesimo ha inglobato anche l’arcaico dio indoeuropeo Dyaus Pitar, che prima di essere Dio-Padre è stato lo Zeus dei greci e Juppiter o Giove dei romani), sicché non hanno potuto o saputo emendarsi dall’idea arcaica di un dio padre punitivo e distruttivo che prepara l’apocalisse e invia pestilenze e cataclismi e, all’occorrenza, scende a fianco dei suoi popoli in battaglia.

Oggigiorno sorridiamo all’idea di un dio terrifico, perché la dottrina cristiana ha subito le influenze dell’umanesimo, dell’illuminismo, del razionalismo scientifico e filosofico, eppure le caratteristiche jahvitiche del Dio monoteista emergono tuttora evidenti quando si incontrano certi cristiani riformati del continente americano o quando si sente, come nelle recenti rivolte del Magreb e dei paesi arabi, gridare "Allahu Akbar" (Dio è il più grande) mentre vengono sparate raffiche di mitra verso il cielo.

Prendiamo in esame distintamente i tre monoteismi, seppur in breve.

IL GIUDAISMO

La Bibbia ebraica, innanzitutto i cinque libri del Pentateuco o Torah, è una raccolta di testi di epoche e di ispirazioni assai diverse, per lo più tradizioni orali tramandate da molti secoli e redatte in forma scritta da sommi sacerdoti, come Esdra e Neemia, soltanto a partire dal VII-VI secolo a.C., durante e dopo la cattività dei giudei in Babilonia.

Molteplici sono state le revisioni dei libri, tanto che non possediamo una Torah originale (una copia fedele della prima stesura, si intende), né le Bibbie ebraiche coincidono e concordano tra loro: per esempio, la versione dei 72 di Alessandria è difforme dalla versione Massoretica, che è datata IX secolo d.C. .

Anche il Vecchio Testamento dei cristiani non coincide con la Bibbia ebraica (es. il libro dei Maccabei è rifiutato dagli israeliti) e, anzi, non coincidono nemmeno tra loro la Bibbia cattolica, quella di Lutero e quella di Re Giacomo, letta dagli anglosassoni.

Le narrazioni della Torah sono state messe per iscritto almeno 6 o 7 secoli dopo i presunti avvenimenti (Abramo nel XX secolo; Mosé nel XIV secolo, ecc.) sicché esse non possiedono alcun valore storico (non sono neppure avvalorate da testimonianze esterne, come ad esempio quelle di egizi o fenici, popoli che tenevano archivi, e nemmeno dalle ricerche archeologiche indipendenti, quelle non israelitiche).

Così, sebbene gli ebrei cerchino di far passare per certezza storica ciò che è leggenda e mito, e nonostante gli archeologi israeliti abbiano sventrato mezza Palestina alla ricerca di prove, a tutt’oggi non è possibile confermare neanche l’esistenza storica dei grandi patriarchi Abramo, Mosé, Giosuè e David.

La Torah dice che il primo nucleo di giudei, storicamente identificabile, fu quello di Abramo, il quale mosse, intorno al 1900 a.C., guidato da Eloah, dalla città di Ur in Caldea verso l’Egitto: sin da subito la storia dei semiti (anche gli arabi rimandano le proprie origini storiche a Abramo e a suo figlio Ismael) è narrazione di vicende riprovevoli, giacché Abramo indusse per due anni la moglie Sara a prostituirsi al Faraone in cambio di favori; il consenso del dio era scontato, poiché era prioritario il destino del futuro popolo giudeo, e se per esso si doveva prostituirsi, uccidere, sterminare, ebbene che così fosse.

Nessuno dei primi grandi patriarchi rimase immune dall’onta dell’omicidio e dello sterminio dei nemici: Mosè uccise e nascose nella sabbia un soldato egizio (2 Mosè, 11); Giosuè distrusse Gerico e varie altre città della terra di Canaan, compiendo numerosi eccidi (Giosuè, 6,21); Davide fu il più assiduo nella pratica del Chérem, la cancellazione totale di un popolo avversario, come citano con orgoglio alcuni passi biblici: "Ogni volta che David assaliva un paese, non lasciava in vita né maschio né femmina" (1 Samuele, 27, 9); "David condusse gli abitanti fuori dalla città di Rabba e li bruciò dentro le fornaci dei mattoni. E così fece con tutte le città dei figli di Ammone" (2 Samuele, 12, 13).

D’altronde, il Chérem (lo sterminio) era auspicato, anzi ordinato da JHWH medesimo: "Non lascerai in vita alcuna anima" (5 Mosè, 20, 13); "Sterminerai Cananei, Etei, Amonei, Ferezei, Evei, Gebusei, come ti ha ordinato il Signore Dio tuo" (Deuteronomio, 20, 16-18; Numeri, 21, 2).

Talvolta appare esagerata tanta iracondia e crudeltà del dio dei giudei, ma non va dimenticato che gli ebrei erano politeisti (veneravano divinità babilonesi, assire, egizie, cananee, ecc.) e che Jahvé era un dio geloso a cui non bastava l’enoteismo (la supremazia sugli altri dei), ma voleva il monoteismo assoluto, con la estinzione delle altre divinità ("Non avrai altro Signore all’infuori di me"), pretesa che avviò la pratica dell’intolleranza, intrinseca al monoteismo.

Inoltre, va sottolineato che Jahvé fu scelto tra le altre divinità semitiche, perché era "Jhwh Sabaoth" cioè "Signore degli eserciti", ovvero dio potente del cielo, ma anche Colui che sconfisse le forze del Caos e del Male, nel pieno rispetto delle caratteristiche delle divinità semitiche d’oriente.

A un popolo in cerca di una terra e in perenne conflitto con i vicini, occorreva un dio di guerra, un dio vicino agli uomini, che benedicesse la lotta e che scendesse al fianco della sua gente, e Jahvé era più adatto di quanto non lo fosse il lontano dio uranico El-Eloah: "Avvenne che il Signore scagliasse contro di loro grandi pietre dal cielo, fino a Azeca, e così essi perirono. Quelli che morirono per le pietre furono assai più di quelli che i figli di Israele uccisero con la spada" (Giosué 10, 11); "Disse il Signore a Giosuè – fa’ attenzione, io ho consegnato nelle tue mani Gerico e il suo re e forti guerrieri -" (Giosuè 6,2).

Al di là dei molti giudizi negativi sul Vecchio Testamento e sul dio di Israele, formulati nei secoli, inclusi quelli dei padri cristiani come Origene, il quale invitava a ripudiare la Bibbia giudaica (Commentari alle Omelie; 5,1), bisogna domandarsi che cosa resti dell’iracondo e combattivo Jahvé nell’ebraismo moderno.

La risposta è: molto, moltissimo, troppo, come ben evidenziato dalle prime righe della Proclamazione di Indipendenza dello Stato di Israele, in cui il richiamo alle scritture sacre prelude alla propria identità di popolo con rapporto privilegiato con il Dio onnipotente e alle proprie tradizioni combattive, seppur giustificate dalla necessità di difendersi.

IL CRISTIANESIMO

Non mi soffermerò sul Nuovo Testamento (tale solo per i cristiani), libro più di pace che di violenza, sebbene talune parole di Cristo lascino perplessi e suggeriscano che gli storici, che rimandano ad una origine essena o forse addirittura zelota del cristianesimo, potrebbero avere le loro ragioni: "Non crediate ch’io sia venuto a portare la pace in terra; sono venuto a portare la spada, a dividere il figlio dal padre (…) i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari" (Mt 10, 34 - 36); "Chi non ha una spada venda il suo mantello e la comperi"; essi risposero: "Signore, ecco qui due spade" (Lc 22,36).

In questa sede mi occuperò invece della dottrina esposta da Agostino nel "Compelle Intrare", traducibile con "Forziamoli ad entrare", che, a partire dal IV secolo giustificò le innumerevoli repressioni, crudeltà, torture, assassini, stermini e ogni genere di crimini di cui si è macchiato il cristianesimo nei suoi quasi venti secoli di storia, come raccontano nei dettagli gli storici quali p.es. K. H. Deschner.

Sant’Agostino, uno dei padri della Chiesa e celebrato teologo, è stato uno dei primi e più fermi difensori della "guerra giusta e santa".

Egli visse (354-430) nella fase storica caotica del decadimento imperiale e delle "invasioni barbariche"; tuttavia l’acredine delle sue parole verso i non cristiani e i cristiani non allineati alla dottrina dei vescovi, come i Donatisti, è eccessiva e non lascia dubbi sulla sua idea di giustizia e di santità della violenza, finalizzata a "ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite".

Nel pensiero di Agostino è la malvagità del reprobo che costringe il saggio alla guerra giusta ed è la testardaggine del miscredente a non fargli comprendere che quella cattolica è l’unica e vera fede nell’unico e vero Dio, dunque a costringere il benevolo e amorevole cristiano ad agire con la forza per il bene dell’eretico stesso e della sua salvazione eterna.

Scrive Agostino, ne La città di Dio: "Abbiamo provato con le parole e il dialogo a far entrare o rientrare i cristiani deviati verso false verità in seno alla Madre Chiesa, ma non c’è stato verso, cosicché abbiamo dovuto usare la forza per il loro stesso bene. Abbiamo dovuto forzarli a rientrare".

Dopo Agostino e la sua dottrina del "Compelle Intrare", la Chiesa cattolica ha giustificato migliaia e migliaia di volte l’uso della violenza per il bene stesso dei pagani e degli eretici, nonché di ebrei, musulmani, amerindi, africani, sassoni, celti, ungari, baltici e indigeni di ogni terra da cristianizzare, tanto che il termine "evangelizzare" oggi suona lugubre e nefasto.

Viene detto, da parte cristiana, che Agostino non intendeva legittimare tanti misfatti, perpetrati nel nome di Gesù, ma questo è quello che è accaduto; d’altronde Agostino scrisse anche "Chi molto ama, molto punisce".

Nel secolo XIII, Tommaso d’Aquino, altro santo e altro celebrato teologo della Chiesa, riprese le idee di Agostino sulla guerra, ribadendo che gli atti di violenza verso il prossimo devono essere animati da intenzione retta, ossia quella di combattere il male e favorire il bene, che per un cattolico è, ovviamente, il bene secondo la propria dottrina.

Quando Tommaso scrisse, nella Summa Theologiae (IIa, II a e), a proposito dei musulmani, che occupavano Gerusalemme: "I credenti cristiani entrano in guerra contro gli infedeli non per costringerli a credere nella vera fede ma per costringerli a non frapporre ostacoli alla religione del Cristo", non si rese conto che con le sue parole finì col giustificare la violenza contro chiunque, in qualunque modo, costituisse ostacolo alla fede cattolica: ebrei, dissidenti, eretici, liberi pensatori, agnostici, atei, e così via.

Il peggio venne raggiunto da Tommaso quando arrivò a sostenere che la guerra giusta è, in ultima istanza, volontà divina: "L’autorità sguaina la spada per zelo di giustizia, come per ordine di Dio".

Con il loro deleterio concetto di bene e di male, Agostino e Tommaso, e dopo di loro numerosi altri teologi cristiani, hanno santificato la guerra giusta e tutte le violenze perpetrate per Cristo ed in suo nome, giacché ad ogni occasione di guerra si trovavano facilmente ragioni di giustizia e finalità amorevoli.

Se i cattolici hanno cancellato senza remore e senza limitazioni qualunque "ostacolo alla vera fede", massacrando pelagiani, donatisti, priscilliani, albigesi, catari, ugonotti e pagani di ogni genere, i cristiani riformati e non allineati non sono stati da meno, rendendo ai cattolici il fio con i dovuti interessi.

Una delle principali cause di tanto protervo furore distruttivo dei cristiani, di ogni setta o gruppo, nessuno escluso, è stato il loro convincimento dogmatico di essere detentori della verità assoluta, per come la si evince dalle scritture sacre e per come essa è stata rivelata da Dio medesimo, che ne auspicava la diffusione universale; il vangelo di Marco fa dire a Gesù: "Andate ovunque sulla Terra e predicate il vangelo a ogni creatura. Chi non avrà creduto, sarà condannato" (Mc 16, 15-16).

Forse, Marco mai avrebbe immaginato che le sue parole avrebbero favorito l’ecumenismo pantoclasta del "Compelle Intrare", né che dal secolo XV in poi la dottrina della "guerra giusta" sarebbe stata trasformata in concezioni di diritto generale e internazionale, che ha autorizzato le potenze e gli stati cristiani a esportare in ogni continente violenze, prevaricazioni, regimi tirannici e genocidi, ma questo è quanto è successo.

L’ISLAM

Islam vuol dire "sottomissione", sottomissione incondizionata a Dio, Allah, senza se e senza ma.

Il dio dell’Islam è l’antico dio uranico El, il vecchio Baal, il gran padre degli dei semiti: anteponendo al nome proprio l’articolo determinativo al, al-El è divenuto Allah, con enfatizzazione della sua unicità.

Come noto, artefice più che semplice profeta della religione islamica, è stato Maometto, il quale, avendo combattuto accanitamente contro l’oligarchia dei ricchi mercanti Kuraysh, che si spartivano il potere politico e religioso a La Mecca, finì col considerare la guerra un mezzo lecito per assoggettare i miscredenti all’Islam.

Gli storici delle religioni non stimano El un dio particolarmente iracondo e guerrafondaio, sicché le caratteristiche aggressive di Allah sono da attribuire a Maometto e al suo precetto che il vero musulmano possa e debba usare anche la forza per convertire gli infedeli.

Dice il Corano, nella Sura (= capitolo) III, versetto 118:

"Se vedi una pratica contraria all’Islam la farai cessare con la forza; se non possiedi la forza per fermarla, la condannerai con la parola; se neanche ciò ti è possibile, la condannerai nel tuo cuore", sottolineando che la prima opzione è la forza.

Il Corano è considerato parola diretta di Allah, con intercessione dell’arcangelo Gabriele, pronunziata passivamente dalla lingua di Maometto, a rimarcare che non fu il Profeta a elaborarla, tant’é che il Corano è detto "la Recitazione".

I non musulmani hanno accusato Maometto di aver attribuito a Dio precetti e comandamenti in verità propri, a suo scopo e vantaggio, come quando egli, invaghitosi della moglie di un figlio adottivo, pronunziò un precetto che favorì il divorzio della donna e il matrimonio con lui, padre adottivo.

Al di là delle scusanti musulmane, resta il fatto che i versetti delle sure coraniche risultano talora assai confusi e in palese contraddizione tra loro, oltre che privi di un ordine cronologico, che consenta di cogliere le ragioni del contrasto, collegandole per esempio a situazioni reali precise.

Riguardo l’uso della forza, i precetti più rilevanti si trovano nelle sure II e IX, ma ve ne sono in tutto il Corano e negli Hadith, gli scritti sulla vita e gli insegnamenti di Maometto: dal Corano e dagli Hadith prende corpo la Shāria, la legge sacra dell’Islam.

Ecco alcuni versetti coranici sull’uso della violenza:

"Uccidete gli idolatri, dovunque li troviate; prendeteli, circondateli, attendeteli nei luoghi che si prestano a un agguato. Se si convertono e pagano la decima. lasciateli però andare, perché Allah è indulgente e clemente" (IX, 5);

"Quando incontrate una schiera nemica, voi che credete siate saldi e menzionate il santo nome di Allah, affinché possiate riportare la vittoria" (VIII, 45);

"Non voi uccideste i nemici bensì Allah li uccise (…) per fornire ai credenti una prova buona, perché Allah è ascoltatore sapiente" (VIII, 17);

"Il peccato di far guerra nel mese di Ramadan è grave ma è molto più peccaminoso agli occhi di Allah bestemmiare lui e il suo sacro tempio"( II, 217);

"Faceste uscire quelli della Gente del Libro (= ebrei) che avevano aiutato il nemico (Kuraysh), sicché parte ne uccideste e parte ne faceste prigionieri (…) perché Allah è su tutte le cose potente!" (XXXIII, 26).

Questi e altri versetti evidenziano come Maometto attribuisca al volere di Allah medesimo l’uso della forza e della guerra, sebbene essa debba essere guerra finalizzata alla conversione dei miscredenti e alla vittoria finale dell’Islam.

In tal senso, non vi è gran differenza con le concezioni agostiniane e tomistiche di "guerra giusta" e "guerra "santa".

Il termine arabo Jihad significa guerra santa nell’accezione di tensione, cammino verso il fine santo di diffusione dell’Islam: non a caso, il termine è spesso espresso nel Corano come "Jihad fi sabil Allah" ossia "sforzo sul cammino verso Allah".

Non va dimenticato che, per l’Islam, la grande Jihad è la guerra contro se medesimi, lo sforzo del fedele di essere un buon musulmano, però non va nemmeno dimenticato che la piccola Jihad, la guerra santa contro l’infedele, è contemplata come parte del cammino del fedele verso Allah, come atto che avvicina a Dio.

Il versetto: "Non dite che coloro che vengono uccisi sulla via di Allah sono morti. No, essi vivono ma voi non lo comprendete" (IV,49) esalta la santità del mujahidin, il combattente della Jihad, e ne celebra il martirio.

La gran parte degli arabi e dei popoli musulmani è gente pacifica e nella loro storia ha raramente raggiunto gli estremi di follia religiosa conosciuti dai popoli cristiani, però sarebbe falso sostenere che la storia dell’Islam sia stata storia di pace.

La religione di Maometto racchiude in sé l’intolleranza delle religioni abramiche e il progetto di diffusione ecumenica, al pari del cristianesimo, progetto perpetuo che cesserà soltanto nel giorno in cui tutto il mondo sarà sottomesso alla fede di Allah, sarà Islam:

"Combatteteli, dunque, finché non vi sia più scandalo e il culto tutto sia reso soltanto a Allah" (VIII,39).

In conclusione, il monoteismo teologico, la difesa intransigente delle proprie dottrine ritenute verità assolute ed indiscutibili, poiché rivelate da Dio medesimo, le concezioni dualiste del bene e del male e della lotta inesorabile ed a oltranza contro il male (i miscredenti), il progetto ecumenico di affermazione del vero Dio e di conversione di tutto il mondo alla vera fede, il messianismo con la fiducia in un destino solo proprio privilegiato dal cielo, la fede escatologica, che spinge alla conversione altrui per presunto atto d’amore (compelle intrare), spiegano ampiamente il carattere intollerante, fanatico, assolutista, liberticida delle religioni abramitiche e rendono conto della loro storia di crimini e di abomini.

Certo, non possono essere negati anche taluni aspetti positivi e benefici delle tre religioni monoteiste, ma proprio la loro duplice natura, la loro ambivalenza rivela la loro radice umana, profondamente umana, tragicamente umana (Maurizio Magnani).

Piccola bibliografia

 http://www.homolaicus.com/religioni/violenza.htm