mercoledì 9 maggio 2012

I RAPPORTI TRA STATO E CHIESA DALLE ORIGINI AD OGGI

L’inizio dei rapporti tra Stato e Chiesa si fa risalire, sul piano teorico, a una famosa sentenza evangelica attribuita a Gesù Cristo: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.

Perché questa lapidaria sentenza non può essere stata detta da Cristo? Semplicemente per due ragioni:

  1. Cristo non ha mai parlato di dio, in quanto si riteneva “figlio dell’uomo” e a causa del proprio “ateismo” più volte rischiò d’essere lapidato (da tempo è acquisito, persino negli ambienti clericali, che l’appellativo “figlio di dio” gli è stato applicato per la prima volta da Paolo di Tarso);
  2. Cristo non poteva concedere diritto di cittadinanza a un potere straniero, quello appunto di Cesare e dei suoi alleati, che occupava e opprimeva duramente la Palestina.


Eppure quella sentenza è sempre stata considerata innovativa da tutti gli storici del cristianesimo, proprio perché, mettendola in rapporto al contesto storico del mondo romano, in cui la religione pagana altro non era che un “instrumentum regni”, quella sentenza in qualche modo apriva la strada al concetto di separazione o almeno di distinzione tra religione e politica e quindi tra Chiesa e Stato. Tant’è che i primi cristiani venivano considerati in un certo senso “atei” dalle istituzioni, cioè assai poco “leali” sul piano politico, e sicuramente “inaffidabili” su quello della difesa militare della patria. E venivano perseguitati.

Le persecuzioni non erano affatto riferite al carattere rivoluzionario della loro politica (la quale anzi, nei confronti dello schiavismo, era molto conservatrice). Ma era appunto riferita al carattere culturale di una posizione che tendeva a mettere le questioni civili su un piano diverso da quelle religiose.

Quando dopo 300 anni di diffusione del cristianesimo avviene la svolta costantiniana, nasce per così dire una sorta di “Stato aconfessionale”, che permette a tutte le religioni di esprimersi, nella convinzione ch’esse non abbiano in sé elementi per minacciare lo status quo né dei vecchi rapporti schiavili né dei nuovi rapporti servili.

Tuttavia questa apertura pluralistica dello Stato romano alle varie religioni dura poco: già con Teodosio nel 380 il cristianesimo diventa l’unica religione ufficiale, mentre tutte le altre sono destinate a entrare nella clandestinità.

In questa fase la chiesa romana ha fatto di tutto per approfittare della propria posizione privilegiata di unica religione lecita, acquisendo posizioni di rendita, e, per sminuire il prestigio del potere imperiale del basileus bizantino, ha fatto in modo che nell’area occidentale dell’impero romano-cristiano, quella dei regni romano-barbarici, si costituisse un impero cattolico-latino alternativo a quello greco-ortodosso.

Tutti i sovrani di origine “barbara” giunti in occidente (ma sarebbe meglio dire di origine asiatica o quanto meno sassone o slava) sono stati utilizzati dalla chiesa romana come una sorta di braccio secolare.

Ovviamente in questa strumentalizzazione essa ha avuto buon gioco con quelle tribù e popolazioni la cui confessione religiosa non era di derivazione ariana, essendo noto che l’arianesimo tendeva a porre la chiesa alle strette dipendenze del sovrano.

In generale si può dire che la chiesa romana medievale, nei suoi livelli istituzionali, ha continuamente tramato e complottato, specie a partire dal rapporto coi Franchi, per impedire che si realizzasse quella che nell’oriente bizantino veniva chiamata “diarchia” o “sinfonia” dei poteri istituzionali: imperiale ed ecclesiastico, la cui reciproca autorità veniva fatta risalire direttamente da dio, senza che l’uno avesse bisogno dell’altro per sentirsi legittimamente riconosciuto.

Come noto infatti, a partire dall’incoronazione di Carlo Magno, la chiesa romana cominciò a far chiaramente capire ch’essa era disposta a riconoscere in forma piena e diretta solo l’autorità di quei sovrani ch’essa stessa aveva consacrato con una specifica cerimonia.

In tal senso fu un atto di eccezionalità gravità aver proclamato “imperatore del sacro romano impero” un re come Carlo Magno, quando di fatto i cristiani d’oriente, che si consideravano romani e cristiani come quelli d’occidente, ritenevano che l’unico imperatore legittimo, sin dai tempi di Costantino, fosse il basileus bizantino.

Nell’area orientale dell’impero la chiesa ortodossa non si comportò mai in questa maniera così marcatamente politicizzata. Essa anzi dovette difendersi dalle continue ingerenze del potere imperiale nelle faccende squisitamente religiose (si pensi solo alla questione dell’iconoclastia).

Nonostante questo quasi tutta la storiografia occidentale ancora oggi sostiene che, mettendo a confronto il cesaropapismo degli imperatori bizantini col papo-cesarismo della chiesa romana, non vi sono dubbi su chi debbano andare le preferenze.

Infatti mentre in oriente si è voluto imporre uno stretto condizionamento della libertà religiosa da parte del potere civile, da noi invece è stata la chiesa a condizionare, con le sue scomuniche, i suoi interdetti e le sue crociate, i poteri secolari.

Non è però stato un caso che, pur gestendo in piena autonomia il potere politico, la chiesa romana sia stata indotta a modificare continuamente i principi, gli usi e i costumi della cosiddetta “chiesa indivisa”, quella del primo millennio.

Sul piano dogmatico infatti la chiesa ortodossa è rimasta fedele ai principi fondamentali espressi nei primi sette concili ecumenici, anche dopo la conquista turca di Costantinopoli, cui seguì l’eredità spirituale dell’ortodossia da parte della cosiddetta “terza Roma”, e cioè Mosca.

Viceversa, la chiesa romana ha avuto continuamente bisogno di modificare i principi ideali che l’avevano costituita, al fine di poter far valere la superiorità del papato sul concilio, l’infallibilità ex-cathedra del pontefice sul consensu ecclesiae, il primato giurisdizionale della sede romana su ogni altra sede, e così via. La prima forma di “protestantesimo” la chiesa romana l’ha vissuta, internamente, affermando a livello politico un individualismo autoritario che contrastava con la socializzazione umanitaria dei semplici credenti.

Questa chiesa s’è scontrata duramente con quella greca sin dal momento in cui Costantino trasferì la capitale dell’impero da Roma a Bisanzio (non dimentichiamo che il celebre falso sulla Donazione di Costantino venne prodotto cinque anni prima dell’incoronazione di Carlo Magno).

I momenti più critici sono stati, alla fine dell’VIII secolo, quello dell’inserimento del Filioque nel Credo, con cui si è spezzata l’unità ideologica del cristianesimo primitivo, e nel 1054 quello delle reciproche scomuniche, con cui si è spezzata l’unità ecumenica e spirituale della cristianità europea, che da allora non s’è più ricomposta.

La separazione delle due confessioni fu immediatamente seguita dal fenomeno delle crociate, il quale evidentemente non aveva solo lo scopo di combattere gli arabi dilagati nel Vicino Oriente, ma anche quello di sottrarre vasti territori all’impero bizantino, che in quel momento presentava un maggiore benessere, soffrendo meno le contraddizioni antagonistiche del sistema feudale.

I due eventi più drammatici di tutto il periodo delle crociate mediorientali furono la conquista di Costantinopoli nel corso della crociata del 1204, cui seguì la costituzione dell’impero latino d’oriente, durato circa una sessantina d’anni.

Non dimentichiamo inoltre che le crociate furono indirizzate anche contro le popolazioni sassoni e slave dei Paesi Baltici e dell’Europa centro-orientale, per costringerle ad abbandonare le loro credenze pagane o per impedire che potessero diventare cristiane in senso ortodosso.

L’aggressività del mondo cattolico-latino era appoggiata dalle classi sociali egemoni e da tutti i sovrani euro-occidentali.

Le crociate furono una sorta di colonialismo ante-litteram. E furono esse che causarono l’avanzata ottomana nell’odierna Turchia, indebolendo in maniera irreparabile le forze militari del basileus.

Tuttavia nel basso Medioevo si assiste a una serie di fenomeni che cominciano a minare le fondamenta autoritarie della chiesa romana:

  1. la lotta per le investiture ecclesiastiche, condotta contro i sovrani tedeschi (che determinerà l’antagonismo dei due principali partiti: guelfo e ghibellino);
  2. la critica della corruzione del clero e del nesso tra religione e affarismo, che causerà, come reazione clericale, la nascita di crociate interne contro i cosiddetti movimenti pauperistici ereticali;
  3. lo sviluppo del movimento borghese-comunale, che porterà alla nascita di Signorie, Principati e Stati nazionali, i cui connotati ideologici se restavano formalmente cristiani, nella sostanza si sviluppavano in maniera sempre più laico-umanistica, benché in chiave borghese, cioè in stretto riferimento ai principi dell’individualismo, del profitto imprenditoriale e dell’interesse finanziario.

La chiesa romana ha potuto avvalersi, non senza difficoltà, dell’appoggio dei sovrani cattolici finché a dominare è stato il principio della rendita feudale connesso alla possesso della proprietà terriera. Questo è visibilissimo sino a tutto il periodo della Controriforma, ivi incluso quello relativo al colonialismo mondiale ispano-portoghese.

Quando invece sono venuti emergendo la società borghese e la formazione economica del capitalismo, la chiesa romana, che pur in un primo momento pensò di poter gestire a proprio vantaggio questi fenomeni, sarà costretta a scendere a duri compromessi.

E mentre la battaglia della chiesa romana contro la borghesia in Italia troverà un terreno vincente nella Controriforma, anche a causa della mancata trasformazione dei vari Principati in un unico Stato nazionale, all’estero, nell’area settentrionale dell’Europa, la sconfitta sarà pressoché totale.

La chiesa romana dovrà rassegnarsi a una nuova rottura ideologica, causata questa volta dal protestantesimo, che diventerà la religione fondamentale del capitalismo.

Da notare che mentre in Europa occidentale si passerà dal feudalesimo al capitalismo, a partire, in Italia, dallo sviluppo comunale, e in tutta Europa, in maniera irreversibile, con la nascita delle manifatture nel XVI secolo, nella parte orientale dell’Europa si continuerà sulla strada del feudalesimo almeno sino alla fine dell’Ottocento, cioè sino al momento in cui il capitalismo europeo non deciderà di trasformarsi in imperialismo, conquistando il mondo intero e scatenando la I guerra mondiale.

E sarà proprio nell’Europa orientale che si bloccherà lo sviluppo capitalistico, che invece oggi ha ripreso il suo cammino, prima con la rivoluzione bolscevica, poi con la vittoria sul nazismo, facendo passare le società feudali direttamente al socialismo amministrato dallo Stato.

Su questi sviluppi bisogna aprire una piccola parentesi. Anche dopo la rottura protestantica la chiesa romana continuerà a restare una chiesa “politica”, intenzionata ad avere con la realtà istituzionale del potere civile un rapporto diretto, immediato, di compromesso esplicito e di scambio reciproco di favori e di privilegi.

La chiesa protestante invece tenderà a delegare in toto allo Stato la gestione della società civile, ponendosi semplicemente come mera realtà privata e individualistica o di comunità religiose indipendenti tra loro e facilmente moltiplicabili.

Ciò significa che mentre la chiesa romana ha sempre fortemente ostacolato la costituzione di uno Stato laico, la chiesa protestante non ha mai posto riserve irrinunciabili. In questo aspetto quindi si può dire che i protestanti assomiglino di più agli ortodossi, ma sotto un altro aspetto dobbiamo dire che il protestantesimo ha generato una resistenza nei confronti del nazismo più debole di quella manifestata dal cattolicesimo nei confronti del fascismo (anche se quando l’alternativa da combattere sono le idee del socialismo il cattolicesimo non ha dubbi, almeno nei suoi livelli istituzionali, da che parte stare: basta vedere come si è comportata la chiesa spagnola al tempo della guerra civile o quella croata quando nella II guerra mondiale vennero sterminati i serbi ortodossi).

Tuttavia lo sviluppo progressivo del capitalismo ha portato, in ambito protestante, allo sviluppo di due fenomeni molto diversi tra loro: da un lato la proliferazione di sette religiose che facilmente sconfinano nella psicopatologia; dall’altro l’accentuazione del lato erudito e intellettualistico delle tradizionali comunità evangeliche, con ampie concessioni alle esegesi di tipo demitizzante e storicistico. Tant’è che nei paesi dove più sono stati forti gli studi sul cristianesimo primitivo, lì si è anche sviluppata l’ideologia ateistica in senso proprio.

Chi non si rassegna a un destino di emarginazione o di irrilevanza sociologica è ancora una volta la chiesa romana, che anzi pretende di avere un ruolo esclusivo nell’ambito del capitalismo (si pensi solo alla gestione finanziaria dei capitali attraverso le banche vaticane), un ruolo che non si esplica solo in senso economico, ma anche in senso politico e istituzionale e che trova appoggi considerevoli negli ambienti politici del centro-destra, per quanto, proprio in relazione a questi ambienti, bisogna ammettere che il ventennio fascista è stato una sorta di passo indietro rispetto al liberalismo dei primi governi dello Stato unitario, in cui vigeva il principio di “Libera chiesa in libero Stato”.

Ma va anche detto che, essendo per definizione, quella borghese, una rivoluzione di classe e non popolare, i Patti Lateranensi sarebbero dovuti diventare prima o poi, in assenza di una riforma protestante italiana, una strada obbligata.

Quanto alla chiesa ortodossa, essa è rimasta tenacemente legata al proprio passato e non mostra d’avere alcuna capacità di porre in essere un’alternativa praticabile alle contraddizioni del mondo contemporaneo, anche se, indubbiamente, rinunciando a un proprio protagonismo politico, tale confessione non ha difficoltà a convivere coi regimi che favoriscono la separazione dello Stato dalle chiese.

La chiesa ortodossa ha lottato nei paesi est-europei contro le dittature staliniste che pretendevano d’imporre d’ufficio l’ateismo, ha cioè dimostrato che la società civile è una cosa diversa dall’amministrazione statale e che la libertà di coscienza deve necessariamente prevedere la possibilità di un atteggiamento specificamente religioso, ma, a parte questo, sarebbe inutile aspettarsi da una confessione religiosa, fosse anche la più democratica del mondo, una risposta agli antagonismi sociali delle nostre società conflittuali.

L’anomalia più vistosa è tuttavia presente proprio in Italia, poiché qui viene ancora conservato, addirittura a livello costituzionale, un regime concordatario con la chiesa romana (di derivazione, non dimentichiamolo, fascista), un patto stipulato tra due Stati che si riconoscono reciprocamente indipendenti sul piano territoriale, ma che di fatto assicura a uno solo dei due posizioni di anacronistico privilegio non solo nei confronti di tutte le altre confessioni religiose, ma anche nei confronti dell’intera società civile. Il che impedisce allo Stato nazionale di esprimere con coerenza i propri valori di laicità e di democrazia.

L’abolizione, sic et simpliciter, dell’art. 7 della Costituzione è un obiettivo che tutto il mondo laico del nostro paese rivendica da tempo, proprio al fine di garantire a tutti i cittadini, indipendentemente dall’atteggiamento che hanno nei confronti della religione, pari dignità e uguaglianza di fronte alla legge.

Qui non vogliamo sostenere che uno Stato laico sia di per sé più democratico di uno Stato confessionale, proprio perché sappiamo bene che la democrazia non è semplicemente un’idea politica da affermare, ma anche e soprattutto una pratica sociale da dimostrare quotidianamente.

Ci pare tuttavia che le contraddizioni che la chiesa cattolica manifesta tra gli ideali professati in sede teorica e la propria attività pratica, siano così grandi da impedire a tale istituzione di poter contribuire in maniera significativa allo sviluppo della laicità e della democrazia nel nostro paese.

Se nei 50 anni successivi alla caduta del fascismo si è pensato che lo sviluppo capitalistico avrebbe potuto essere “umanizzato” grazie al contributo della dottrina sociale della chiesa, oggi bisogna dire, in tutta tranquillità, che tale dottrina ha fallito i suoi obiettivi, che la chiesa romana, come istituzione (cioè indipendentemente dalla buona fede dei suoi singoli aderenti) è talmente screditata da non avere più alcuna possibilità di dire qualcosa di significativo alle nuove generazioni, e che l’affronto delle contraddizioni della nostra epoca va fatto a prescindere totalmente non solo da tale dottrina sociale ma anche dalle dottrine di qualsivoglia religione.

www.homolaicus.com/diritto/concordato.htm

http://www.homolaicus.com/religioni/stato-chiesa.htm

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