domenica 18 dicembre 2011

I PANNI SPORCHI SI LAVANO IN CHIESA?

Maggio 2010. All’ assemblea generale della Cei il cardinale Bagnasco si innervosisce in conferenza stampa per una domanda sull’intervista del direttore dell’ Osservatore Romano in cui viene lodato l’ esempio dei vescovi di Inghilterra e Galles che hanno istituito in ogni diocesi e molte parrocchie una task force – cui partecipano molte donne – per sorvegliare e prevenire gli abusi sessuali del clero. I vescovi italiani non istituiscono nessun organismo di controllo.
Maggio 2010 il segretario della Cei mons. Crociata 
comunica ai giornalisti che i casi di pedofilia del clero in Italia sono 100. Il presidente della Cei dichiara di non essere “in grado” di dire cosa è stato dei preti criminali. Destituiti? Trasferiti? Ridotti allo stato laicale? Silenzio assoluto. L’anno 2010 è segnato dall’esplodere degli enormi scandali di abusi in Irlanda e in Germania, un drammatico seguito agli scandali avvenuti negli Stati Uniti, in Canada, in Brasile, in Australia.
IN ITALIA l’ episcopato non prende nemmeno in considerazione la proposta di don Fortunato Di Noto, il prete siciliano impegnato da anni specialmente nel contrasto della pedofilia on line, di istituire in ogni diocesi un “vicario per i bambini”. Una sola diocesi in Italia – Bressanone – istituisce un numero verde e apre un’inchiesta per portare alla luce gli abusi del clero. Un anno dopo vengono comunicati all’opinione pubblica i risultati: nel ventennio trascorso si registrano tredici vittime maschili e dodici femminili. La conferenza episcopale italiana ignora l’esempio della diocesi altoatesina. È evidente che se tutte le duecento diocesi italiane aprissero un’indagine, almeno qualche migliaio di casi insabbiati sarebbe scoperto. Per questo la gerarchia ecclesiastica non si muove.

In Belgio i vescovi hanno istituito una commissione che nel 2010 ha messo on line i risultati. La maggioranza delle vittime aveva intorno ai dodici anni. “Una vittima ne aveva due, cinque ne avevano quattro, otto ne avevano cinque e dieci sette”. (Rapporto Adriaenssens). Almeno tredici vittime si sono suicidate. In Austria il cardinale Schoenborn ha affidato a un’ex governatrice regionale democristiana l’incarico di svolgere un’inchiesta indipendente. In Italia nessun cardinale ha preso una simile decisione per la sua diocesi. In Germania i vescovi hanno stabilito nell’estate del 2011 che un gruppo di lavoro di ex giudici ed ex pro-curatori in pensione passeranno al setaccio i dossier personali del clero di tutte le diocesi tedesche. Nulla del genere in Italia. Ancora nell’ottobre 2011 il segretario della Cei ribadisce che la responsabilità sulla vigilanza degli abusi spetta unicamente al vescovo. La Cei sta elaborando severe linee guida per contrastare il fenomeno. L’esperienza ha ormai dimostrato incontrovertibilmente una cosa. Se si vuole fare luce, bisogna nominare un incaricato diocesano e un vescovo a livello nazionale per seguire sul serio il dossier. Se si vuole fare luce bisogna nominare un’inchiesta nazionale indipendente.
NON BASTA che Benedetto XVI a più riprese abbia condannato il fenomeno e si sia incontrato in varie parti del mondo con alcune vittime. Non è più sufficiente nemmeno l’esistenza di norme più severe della Congregazione per la Dottrina della fede o l’impegno che per maggio 2012 le conferenze episcopali abbiano approntato linee guida nazionali. Servono concreti atti di governo della suprema gerarchia cattolica per fare luce su decine e decine di migliaia di crimini avvenuti in tutto il mondo. Il caso orripilante dell’Olanda è significativo. In un solo anno di lavoro la commissione indipendente, promossa dall’episcopato olandese e guidata dall’ex ministro democristiano Deetman, ha calcolato che dal 1945 ad oggi nei seminari, nelle scuole, negli orfanotrofi cattolici il numero delle vittime si colloca tra diecimila e ventimila. Basta un anno di lavoro, basta una commissione indipendente per arrivare a scoprire la verità. In Italia, in Europa, in tutto il mondo.
La Cei si rifiuta di imboccare questa strada, Benedetto XVI che segue personalmente l’attività dell’episcopato italiano non ha voluto finora dare nessun ordine perché sia fatta chiarezza in Italia. Dal Vaticano non è giunta l’indicazione ad avviare un’indagine internazionale né si è deciso di aprire finalmente gli archivi per rivelare decenni di insabbiamento.
Quando la bomba esploderà anche in Italia – perché esploderà – nessuno dica che è uno choc o una “dolorosa sorpresa”. Perché i vertici ecclesiastici non stanno muovendo un dito per cercare la verità.
Marco Politi in il Fatto Quotidiano del 18 dicembre 2011